Descrizione Progetto

(Prigioniero politico), (1951-1953 c.)
Con la terracotta conosciuta come «Prigioniero politico », Timo Bortolotti realizza una delle figure più emblematiche ed enigmatiche della sua intera produzione artistica: un giovane uomo, nudo e rannicchiato, stringe con forza a sé un involto e vi sprofonda il viso celato a qualsiasi sguardo. È la gestualità del corpo a esprimere una sofferenza intima, un dolore privato, un annientamento totale dell’individuo, mentre l’impossibilità di scorgere il volto del prigioniero rende impossibile tanto intercettarne i sentimenti quanto distinguerne i lineamenti, aspetto, quest’ultimo, che rispecchia la perdita di personalità portata con sé dalle atrocità della guerra: il conflitto appena trascorso, con la sua scia di morte e distruzione, di sofferenza e barbarie ha visto un unico grande sconfitto, il genere umano, universalmente prigioniero della propria brutalità. La superficie scabra e corrotta della terracotta contribuisce ad aumentare la drammaticità del soggetto, ben diverso dal come «Prigioniero» che Bortolotti realizza, sempre in terracotta, attorno alla metà degli anni Trenta del Novecento, perfetta incarnazione, quest’ultimo, della fierezza eroica incensata dall’ideologia fascista.
L’opera, anche in virtù di quest’ultimo confronto è ascrivibile al secondo dopoguerra, quando la monumentalità commemorativa assume sfumature antieroiche e antiretoriche. L’assoluto senso di sconfitta percepito in seguito all’ultimo conflitto mondiale è tanto avvertito a livello globale da divenire oggetto di un concorso internazionale per l’ideazione di un monumento al come «Prigioniero politico ignoto» (mai realizzato), competizione indetta dal’ Institute of Contemporary Arts di Londra (1951 – 1953). L’opera di Bortolotti presente in collezione è tratta dal gesso con cui lo scultore partecipa alla prese lezione nazionale del concorso, alla quale sono presentati in totale centododici bozzetti, giudicati da una prestigiosa commissione composta da Giulio Carlo Argan, Felice Casorati, Renato Guttuso, Bruno Molajoli, Riccardo Musatti, Rodolfo Pallucchini e Carlo Ludovico Ragghianti. Con due lettere del 7 novembre 1952 conservate presso l’archivio della Fondazione Ragghianti, Bortolotti si rivolge alla commissione organizzatrice confermando l’invio della propria opera e descrivendo il proprio progetto: «IMPRIGIONATO, MA NON DOMO. Nel realizzare il bozzetto che presento al concorso sono stato mosso dal desiderio di rappresentare realisticamente il prigioniero politico ignoto nell’atto in cui si raccoglie disperatamente nella sua fede, impersonata dalla bandiera »; in caso di vittoria il bozzetto sarebbe stato ingrandito almeno sette volte, trasposto in porfido o in granito nero lucido e collocato su come «un semplice parallelepipedo a pianta quadrata». Nonostante alla fase finale del concorso – svoltasi a Londra tra il marzo e l’aprile 1953 – siano stati inviati i lavori di Mirko Basaldella, Francesco Cannilla, Pietro Consagra, Agenore Fabbri, Pericle Fazzini, Luciano Minguzzi, Raffaello Salimbeni, Venturino Venturi e di due artisti stranieri residenti in Italia, Egon Milinkovich e Assen Peikov, il «Prigioniero politico» in gesso di Bortolotti è tra i sessantatre bozzetti ammessi alla mostra legata alla preselezione nazionale, allestita presso la Galleria La Strozzina (23 novembre – 15 dicembre 1952). La terracotta di Montevarchi, plausibilmente ricavata dalla forma buona da cui si era tratto il gesso (andato probabilmente perduto), è presente alle grandi retrospettive di San Giovanni Valdarno (1987) e di Brescia (1988).
Roberta Perego