Descrizione Progetto
(Aquila), (1937)
Questa piccola aquila in terracotta rappresenta con tutta probabilità il primo modello per l’esecuzione di due grandi aquile in pietra porfirica apparse alla “Prima Mostra degli Artisti Mutilati di Guerra Milanesi” (1937); due versioni in bronzo del maestoso rapace sono inoltre poste a coronamento di un monumento funebre ideato e realizzato da Timo Bortolotti presso il cimitero di Caronno Varesino (Varese). Il monumento in questione è dedicato a Giovanni Bardelli e alla sua famiglia, al figlio Carletto, morto in tenera età (1906-1907), e alla moglie Lina Adele Bouvier (1879-1964).
Due massicci pilastri in pietra porfirica, sormontati ciascuno da un’aquila bronzea, dominano il monumento, mentre una lapide centrale ricorda Giovanni, Carletto e Lina. E sempre i pilastri sono impreziositi da caratteristici rilievi, anch’essi in pietra porfirica, che commemorano i due coniugi e la loro vita. Quello di sinistra rievoca il Bardelli come studioso (una figura maschile di spalle consulta dei testi in una biblioteca), come medico (rappresentato un bastone di Asclepio, antico simbolo greco legato alla medicina), ma anche come capitano degli alpini nel corso della Prima Guerra Mondiale (alla tomba Bardelli appartiene l’originale del rilievo «Vedetta alpina», rilievo di cui si ignorava la collocazione e conosciuto fino ad ora unicamente attraverso un immagine d’archivio (INV. DC1703), ruolo nel quale si distingue per coraggio e intraprendenza, tanto da ricevere due medaglie di bronzo al valore militare (un ramo di alloro e uno di quercia alludono a gloria e forza). Il pilastro destro ricorda invece Lina Bouvier, moglie e madre (un rilievo la ritrae stretta in un abbraccio col marito e il piccolo Carletto) e pittrice di professione (una figura femminile di spalle regge una tavolozza di colori e si accinge a dipingere una tela), che aveva quale soggetto prediletto per i propri quadri i fiori (come ricordato da un fascio di orchidee o iris), mentre in un ultimo rilievo è rappresentato un uccello, probabilmente una colomba, che tiene nel becco un ramo di ulivo.
Con estrema probabilità il Bortolotti riceve questa commissione per conoscenza diretta con il defunto Giovanni: entrambi volontari del corpo degli alpini nel corso del primo conflitto mondiale, erano d’istanza sul Monte Ortigara nel giugno del 1917, come confermano anche le onoreficenze militari ricevute dai due: Bortolotti, tenente del gruppo degli alpini, viene decorato con medaglia d’argento nel 1923 poiché «Comandante di una sezione mitragliatrici, alla testa di essa, incitando i suoi soldati con la parola e con l’esempio, con mirabile ardimento e sprezzo del pericolo, si lanciò attraverso un punto di obbligato passaggio, intensamente battuto dal tiro delle mitragliatrici nemiche, per raggiungere località adatta per controbattere l’avversario, che col fuoco efficacemente ostacolava l’avanzata delle colonne d’attacco. Ferito alla testa ed alle mani, nonostante le ingenti perdite subite dalla sezione, proseguì nell’avanzata, fino a raggiungere la meta, dove venne nuovamente e più gravemente ferito da granata nemica – Monte Ortigara, 25 giugno 1917»; il Bardelli, capitano medico del reggimento alpini, riceve una medaglia di bronzo al valore militare nel 1920 perché «durante un intenso bombardamento nemico, avendo un proietto di grosso calibro colpito e demolito il posto di medicazione, con bello esempio di calma, di fermezza e di sprezzo del pericolo, rimaneva saldo a medicare i feriti nella zona battuta dal fuoco e ne dirigeva personalmente lo sgombero, infondendo nei dipendenti calma e coraggio – Monte Ortigara, 10-26 giugno 1917». Lo scultore, gravemente ferito, riceve quindi le cure del coraggioso medico, e non è da escludere che il rapporto tra i due sia proseguito nel mondo artistico-culturale della Milano del primo dopoguerra: nel 1924 infatti Bortolotti apre il suo studio a Milano, trasferendosi nella città dove il Bardelli vive con la moglie Lina, nipote del pittore meneghino Pietro Bouvier (1839-1927) ed essa stessa pittrice.
Il legame col monumento di Caronno Varesino (già Caronno Ghiringhello sino al 1940) ci consente di ipotizzare un’ampia datazione della terracotta, che va dal 1934 – anno della morte del Bardelli – al 1937; vero è però che la data più plausibile sembrerebbe essere il 1937, tenendo presente che le due aquile in pietra porfirica vengono esposte nel novembre del 1937 alla galleria Pesaro e che entrambe quelle in bronzo del monumento sono firmate e datate “Timo Bortolotti XVI”, ovverosia XVI anno dell’era fascista (dal 29 ottobre 1937 al 28 ottobre 1938).
Non si è a conoscenza di mostre a cui abbia partecipato il piccolo bozzetto in terracotta, che si intravede, poggiato su di un’esile colonnina, in una fotografia d’epoca che ritrae Bortolotti nel suo studio (Inv. FT1295). Le due trasposizioni in pietra porfirica, esposte alla “Prima Mostra degli Artisti Mutilati di Guerra Milanesi” (1937), sono presentate con il titolo di «Aquile imperiali: Libica ed Etiopica», con un inconfutabile riferimento al regime e alle sue campagne di conquista territoriale; nonostante ciò, è ipotizzabile che, in origine, le aquile fossero un riferimento al corpo degli alpini, a cui sia il Bortolotti che il Bardelli appartenevano, proprio come chiariscono le parole di Donatella Bortolotti, figlia dell’artista: «Nella pietra ho soltanto lucidato qualche becco delle aquile. Aquile imperiali? No, aquile per un monumento agli alpini, visto che mio padre era un alpino» (De Micheli, 1987).
Due massicci pilastri in pietra porfirica, sormontati ciascuno da un’aquila bronzea, dominano il monumento, mentre una lapide centrale ricorda Giovanni, Carletto e Lina. E sempre i pilastri sono impreziositi da caratteristici rilievi, anch’essi in pietra porfirica, che commemorano i due coniugi e la loro vita. Quello di sinistra rievoca il Bardelli come studioso (una figura maschile di spalle consulta dei testi in una biblioteca), come medico (rappresentato un bastone di Asclepio, antico simbolo greco legato alla medicina), ma anche come capitano degli alpini nel corso della Prima Guerra Mondiale (alla tomba Bardelli appartiene l’originale del rilievo «Vedetta alpina», rilievo di cui si ignorava la collocazione e conosciuto fino ad ora unicamente attraverso un immagine d’archivio (INV. DC1703), ruolo nel quale si distingue per coraggio e intraprendenza, tanto da ricevere due medaglie di bronzo al valore militare (un ramo di alloro e uno di quercia alludono a gloria e forza). Il pilastro destro ricorda invece Lina Bouvier, moglie e madre (un rilievo la ritrae stretta in un abbraccio col marito e il piccolo Carletto) e pittrice di professione (una figura femminile di spalle regge una tavolozza di colori e si accinge a dipingere una tela), che aveva quale soggetto prediletto per i propri quadri i fiori (come ricordato da un fascio di orchidee o iris), mentre in un ultimo rilievo è rappresentato un uccello, probabilmente una colomba, che tiene nel becco un ramo di ulivo.
Con estrema probabilità il Bortolotti riceve questa commissione per conoscenza diretta con il defunto Giovanni: entrambi volontari del corpo degli alpini nel corso del primo conflitto mondiale, erano d’istanza sul Monte Ortigara nel giugno del 1917, come confermano anche le onoreficenze militari ricevute dai due: Bortolotti, tenente del gruppo degli alpini, viene decorato con medaglia d’argento nel 1923 poiché «Comandante di una sezione mitragliatrici, alla testa di essa, incitando i suoi soldati con la parola e con l’esempio, con mirabile ardimento e sprezzo del pericolo, si lanciò attraverso un punto di obbligato passaggio, intensamente battuto dal tiro delle mitragliatrici nemiche, per raggiungere località adatta per controbattere l’avversario, che col fuoco efficacemente ostacolava l’avanzata delle colonne d’attacco. Ferito alla testa ed alle mani, nonostante le ingenti perdite subite dalla sezione, proseguì nell’avanzata, fino a raggiungere la meta, dove venne nuovamente e più gravemente ferito da granata nemica – Monte Ortigara, 25 giugno 1917»; il Bardelli, capitano medico del reggimento alpini, riceve una medaglia di bronzo al valore militare nel 1920 perché «durante un intenso bombardamento nemico, avendo un proietto di grosso calibro colpito e demolito il posto di medicazione, con bello esempio di calma, di fermezza e di sprezzo del pericolo, rimaneva saldo a medicare i feriti nella zona battuta dal fuoco e ne dirigeva personalmente lo sgombero, infondendo nei dipendenti calma e coraggio – Monte Ortigara, 10-26 giugno 1917». Lo scultore, gravemente ferito, riceve quindi le cure del coraggioso medico, e non è da escludere che il rapporto tra i due sia proseguito nel mondo artistico-culturale della Milano del primo dopoguerra: nel 1924 infatti Bortolotti apre il suo studio a Milano, trasferendosi nella città dove il Bardelli vive con la moglie Lina, nipote del pittore meneghino Pietro Bouvier (1839-1927) ed essa stessa pittrice.
Il legame col monumento di Caronno Varesino (già Caronno Ghiringhello sino al 1940) ci consente di ipotizzare un’ampia datazione della terracotta, che va dal 1934 – anno della morte del Bardelli – al 1937; vero è però che la data più plausibile sembrerebbe essere il 1937, tenendo presente che le due aquile in pietra porfirica vengono esposte nel novembre del 1937 alla galleria Pesaro e che entrambe quelle in bronzo del monumento sono firmate e datate “Timo Bortolotti XVI”, ovverosia XVI anno dell’era fascista (dal 29 ottobre 1937 al 28 ottobre 1938).
Non si è a conoscenza di mostre a cui abbia partecipato il piccolo bozzetto in terracotta, che si intravede, poggiato su di un’esile colonnina, in una fotografia d’epoca che ritrae Bortolotti nel suo studio (Inv. FT1295). Le due trasposizioni in pietra porfirica, esposte alla “Prima Mostra degli Artisti Mutilati di Guerra Milanesi” (1937), sono presentate con il titolo di «Aquile imperiali: Libica ed Etiopica», con un inconfutabile riferimento al regime e alle sue campagne di conquista territoriale; nonostante ciò, è ipotizzabile che, in origine, le aquile fossero un riferimento al corpo degli alpini, a cui sia il Bortolotti che il Bardelli appartenevano, proprio come chiariscono le parole di Donatella Bortolotti, figlia dell’artista: «Nella pietra ho soltanto lucidato qualche becco delle aquile. Aquile imperiali? No, aquile per un monumento agli alpini, visto che mio padre era un alpino» (De Micheli, 1987).
Roberta Perego