Descrizione Progetto
(Testa di san Giovanni Bosco), (1937-1938)
La testa di don Bosco presente nelle collezioni del Museo è un gesso preparatorio in scala 1:1 che Timo Bortolotti esegue in occasione di un’importante commissione, quella di una scultura per il Duomo di Milano.
Sentita la Commissione tecnico-artistica, la Reggenza prefettizia della Veneranda Fabbrica del Duomo dispone, attorno alla metà degli anni Trenta del Novecento, l’esecuzione di nuove statue per la cattedrale milanese e assegna al Bortolotti «[…] lo studio di una statua da collocare sui capitelli dei piloni interni del Tempio» (lettera ufficiale dell’Amministrazione della Fabbrica del Duomo di Milano allo scultore Timo Bortolotti, 12 maggio 1936, Inv. DC1723).
La candidatura del Bortolotti, artista in quegli anni all’apice della propria carriera, è sostenuta dalla Sezione provinciale milanese dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra – lo scultore, che aveva partecipato al primo conflitto mondiale, era rimasto ferito durante i combattimenti – oltre che dal vescovo di Brescia Giacinto Tredici (le lettere inviate all’architetto della Fabbrica del Duomo Adolfo Zacchi, che auspicano l’assegnazione della commessa di una scultura al Bortolotti, sono conservate presso l’archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo). Accettato l’incarico, lo scultore riceve le direttive ufficiali (Norme e condizioni per l’assegnazione di una statua pei capitelli dei piloni del Duomo allo Scultore Timo Bortolotti, 7 ottobre 1936). Il soggetto della sua opera sarebbe stato un uomo di chiesa canonizzato nel 1934, san Giovanni Bosco (1815-1888), sacerdote che aveva dedicato la propria esistenza al sostegno e all’educazione dei giovani e che aveva fondato la congregazione dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Il Bortolotti avrebbe dovuto presentare un primo bozzetto nel rapporto di un terzo rispetto alle dimensioni definitive; ottenuta l’approvazione del bozzetto sarebbe passato alla realizzazione del modello in scala reale, con altezza stabilita in 1,80 metri circa; infine, ottenuta anche l’accettazione del modello e ricevuto il blocco di Candoglia, lo scultore si sarebbe potuto dedicare alla riproduzione in marmo da collocare in Duomo. La retribuzione complessiva per la commessa sarebbe stata di 18.000 lire: nello specifico, lo scultore avrebbe ricevuto 3.000 lire in seguito all’approvazione del bozzetto, 5.000 lire in seguito all’accettazione del modello e 10.000 lire per la traduzione del gesso in marmo. Sono sempre i documenti d’archivio della Fabbrica del Duomo di Milano a svelarci che il Bortolotti presenta due diversi bozzetti; la Commissione Artistica, riunitasi il 4 dicembre 1936, « […] invita lo Scultore a presentare un nuovo bozzetto, migliorato. Preferita la parte superiore del bozzetto N°1 e quella inferiore del bozzetto N°2». Il nuovo bozzetto viene giudicato positivamente dalla medesima Commissione (7 giugno 1937), la quale approverà anche il modello al vero in gesso dopo una visita presso lo studio dell’artista il 17 febbraio 1938. Trascorre più di un anno prima che il blocco di Candoglia, ordinato in cava nell’aprile del 1838, venga consegnato al Bortolotti il 21 agosto 1939; lo scultore realizza il marmo del don Bosco in pochi mesi, tanto che già nei primi giorni del marzo del 1940 viene emesso dall’Amministrazione della Fabbrica del Duomo un mandato di pagamento di 10.000 lire (mandato emesso, come da contratto, solamente in seguito alla consegna della scultura). Il Candoglia viene infine inserito nella nicchia del capitello di un pilone del transetto nord; nello specifico si tratta del pilone che si erge vicino all’altare e alla sagrestia settentrionale.
La «Testa di san Giovanni Bosco» appartenente alle collezioni del Museo è databile tra il giugno del 1937 e il febbraio del 1938, arco di tempo in cui il Bortolotti si dedica all’esecuzione del modello in gesso realizzato in scala reale, così come lo è l’opera conservata a Montevarchi. L’artista realizza un perfetto ritratto scolpito del sacerdote: il caratteristico sguardo di umana benevolenza del santo piemontese si sposa, in questo caso, all’immagine di un volto maturo, solcato da rughe profonde, espressione tangibile di una raggiunta consapevolezza spirituale.
Sentita la Commissione tecnico-artistica, la Reggenza prefettizia della Veneranda Fabbrica del Duomo dispone, attorno alla metà degli anni Trenta del Novecento, l’esecuzione di nuove statue per la cattedrale milanese e assegna al Bortolotti «[…] lo studio di una statua da collocare sui capitelli dei piloni interni del Tempio» (lettera ufficiale dell’Amministrazione della Fabbrica del Duomo di Milano allo scultore Timo Bortolotti, 12 maggio 1936, Inv. DC1723).
La candidatura del Bortolotti, artista in quegli anni all’apice della propria carriera, è sostenuta dalla Sezione provinciale milanese dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra – lo scultore, che aveva partecipato al primo conflitto mondiale, era rimasto ferito durante i combattimenti – oltre che dal vescovo di Brescia Giacinto Tredici (le lettere inviate all’architetto della Fabbrica del Duomo Adolfo Zacchi, che auspicano l’assegnazione della commessa di una scultura al Bortolotti, sono conservate presso l’archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo). Accettato l’incarico, lo scultore riceve le direttive ufficiali (Norme e condizioni per l’assegnazione di una statua pei capitelli dei piloni del Duomo allo Scultore Timo Bortolotti, 7 ottobre 1936). Il soggetto della sua opera sarebbe stato un uomo di chiesa canonizzato nel 1934, san Giovanni Bosco (1815-1888), sacerdote che aveva dedicato la propria esistenza al sostegno e all’educazione dei giovani e che aveva fondato la congregazione dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Il Bortolotti avrebbe dovuto presentare un primo bozzetto nel rapporto di un terzo rispetto alle dimensioni definitive; ottenuta l’approvazione del bozzetto sarebbe passato alla realizzazione del modello in scala reale, con altezza stabilita in 1,80 metri circa; infine, ottenuta anche l’accettazione del modello e ricevuto il blocco di Candoglia, lo scultore si sarebbe potuto dedicare alla riproduzione in marmo da collocare in Duomo. La retribuzione complessiva per la commessa sarebbe stata di 18.000 lire: nello specifico, lo scultore avrebbe ricevuto 3.000 lire in seguito all’approvazione del bozzetto, 5.000 lire in seguito all’accettazione del modello e 10.000 lire per la traduzione del gesso in marmo. Sono sempre i documenti d’archivio della Fabbrica del Duomo di Milano a svelarci che il Bortolotti presenta due diversi bozzetti; la Commissione Artistica, riunitasi il 4 dicembre 1936, « […] invita lo Scultore a presentare un nuovo bozzetto, migliorato. Preferita la parte superiore del bozzetto N°1 e quella inferiore del bozzetto N°2». Il nuovo bozzetto viene giudicato positivamente dalla medesima Commissione (7 giugno 1937), la quale approverà anche il modello al vero in gesso dopo una visita presso lo studio dell’artista il 17 febbraio 1938. Trascorre più di un anno prima che il blocco di Candoglia, ordinato in cava nell’aprile del 1838, venga consegnato al Bortolotti il 21 agosto 1939; lo scultore realizza il marmo del don Bosco in pochi mesi, tanto che già nei primi giorni del marzo del 1940 viene emesso dall’Amministrazione della Fabbrica del Duomo un mandato di pagamento di 10.000 lire (mandato emesso, come da contratto, solamente in seguito alla consegna della scultura). Il Candoglia viene infine inserito nella nicchia del capitello di un pilone del transetto nord; nello specifico si tratta del pilone che si erge vicino all’altare e alla sagrestia settentrionale.
La «Testa di san Giovanni Bosco» appartenente alle collezioni del Museo è databile tra il giugno del 1937 e il febbraio del 1938, arco di tempo in cui il Bortolotti si dedica all’esecuzione del modello in gesso realizzato in scala reale, così come lo è l’opera conservata a Montevarchi. L’artista realizza un perfetto ritratto scolpito del sacerdote: il caratteristico sguardo di umana benevolenza del santo piemontese si sposa, in questo caso, all’immagine di un volto maturo, solcato da rughe profonde, espressione tangibile di una raggiunta consapevolezza spirituale.
Roberta Perego